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RIPARTIRE DOPO IL LOCKDOWN

Attualmente il nostro Paese vive una situazione nella quale l’economia e il lavoro sono messi a dura prova. Questo può insegnarci a non sfuggire ai problemi, a non nasconderci dietro l’ennesima maschera e far finta di niente. Molte persone si chiedono qual è allora l’arte più importante da coltivare, quella che può darci una nuova motivazione e aiutarci a di identificarci dalle difficoltà della vita? Come possiamo evitare di farci sopraffare? Qual è il punto di vista migliore per liberarci da una visione triste della realtà?

E quale sarebbe allora la scena ideale in un luogo di lavoro affinché il personale possa esprimere al meglio le sue capacità e i suoi talenti? 

Senza voler insegnare nulla, possiamo solo proporre una riflessione. Così mi torna in mente la storia zen di tre monaci che nel lontano Oriente, vagando di villaggio in villaggio, non facevano che ridere. Ogni qualvolta entravano in un villaggio si mettevano nella piazza e iniziavano a ridere. Ad una ad una le persone ne erano contagiate e a loro volta iniziavano a ridere. Alla fine tutti gli abitanti venivano coinvolti in una grande risata collettiva. A quel punto i monaci partivano per un altro villaggio.

La risata era la loro unica predica, l’unico messaggio che impartivano.

Immaginatevi allora ristoranti, bar, caffetterie, alberghi dove il personale sa accogliere con il sorriso e sa mettere la clientela di buon umore. Una giornata che inizia così ha un sapore completamente diverso. 

Quei monaci comunicavano che la vita dovrebbe essere solo e unicamente una risata. E non ridevano di qualcosa in particolare: si limitavano a ridere. Ma il piccolo racconto non è finito, manca ancora la parte più interessante. Senza usare una sola parola quel religioso diffondeva una gioia infinita.

Così accadde che con il passare degli anni invecchiarono e uno di loro morì. L’intero villaggio, dove si trovavano, si chiedeva quale sarebbe stata la reazione degli altri due: almeno in quella circostanza era logico aspettarsi che avrebbero pianto. Il villaggio si riunì, ma i due monaci superstiti, accanto al cadavere del loro amico, ridevano, e ridevano a crepapelle. Gli abitanti del villaggio esterrefatti avvicinandosi chiesero: «Spiegateci perché ridete». Così per la prima volta parlarono: «Ridiamo perché quest’uomo ha vinto. Ci siamo sempre interrogati su chi tra noi sarebbe morto per primo, e lui ci ha battuti. Stiamo ridendo della nostra sconfitta e della sua vittoria. Inoltre, ha vissuto con noi così tanti anni, insieme abbiamo riso e ci siamo divertiti.»

Non potrebbe esistere un addio migliore: possiamo solo ridere!

L’intero villaggio era comunque affranto, ma poi si accorsero che non solo quei due stavano divertendosi, ma sembrava che sorridesse anche il terzo, il monaco morto. Prima di lasciare il corpo aveva detto ai suoi confratelli: «Non cambiatemi le vesti!» (al tempo quando un uomo moriva, si usava lavarne il corpo e gli venivano cambiati gli abiti). «Non lavatemi, perché sono sempre stato pulito. Ho riso tanto nella mia vita, che nessuna impurità si è mai accumulata in me, addirittura non sono mai stato toccato da impurità. Non ho raccolto polvere: la risata è sempre giovane, fresca e pulita. Per cui, non mi lavate e non cambiatemi le vesti!» Per rispetto delle sue ultime volontà, dunque, non gli cambiarono l’abito. E quando il corpo del monaco fu posto sulla pira funebre per essere bruciato, si accorsero d’improvviso che nei vestiti aveva nascosto dei fuochi d’artificio.

L’esplosione dei fuochi fece ridere l’intero villaggio tanto che i due monaci rimasti esclamarono: “Anche da morto ti sei fatto un’ultima risata!”.

Cari lettori esiste una risata cosmica, allorché si comprende che la vita è un grande gioco divino. È la risata più elevata: solo un Buddha può ridere in quel modo. E quei tre monaci dovevano essere stati tre Buddha.

Ci auguriamo che questo breve racconto vi dia la forza di affrontare e superare ogni difficoltà, apprezzando sempre la vita come il dono più grande ricevuto.